di Roberta Franceschetti
Di cosa parliamo quando diciamo tempo schermo?
Il primo richiamo è arrivato alle 16:02: uno sguardo eloquente che gli ricordava come avesse di gran lunga superato il tempo schermo consentito, persino considerando il momento fuori dall’ordinario che stiamo vivendo. Il secondo alle 17:00: un appello accompagnato da gesti espliciti, ma silenzioso e discreto. Non vuoi mica interrompere la conversazione su WhatsApp con i suoi amici, no? Il terzo richiamo, alle 17.40, ha messo da parte l’etichetta: “Ora, basta”. Infine, alle 18:00 è scattata la rabbia.
Urlo di mamma
L’Urlo di mamma è quello che Jutta Bauer descrive così bene nel suo albo illustrato, pensato per l’infanzia ma consigliato anche a chi ha a che fare con adolescenti.
La storia dell’autrice tedesca è una metafora perfetta della psicologia di un genitore che perde le staffe: nella prima pagina mamma pinguino urla così forte che manda in mille pezzi il suo cucciolo; così nelle pagine successive deve girare il mondo per recuperare gambe, becco, testa, occhi, culetto e ali.
Spesso mi sento come la protagonista del libro, che, con fatica e pazienza, deve ricucire se stessa oltre che i pezzi del suo piccolo pinguino. Non farsi sopraffare dalle reazioni istintive di fronte all’uso compulsivo di telefonini e tablet da parte dei nostri figli è una delle missioni impossibili a cui un genitore di oggi è chiamato.
E questo vale sempre, ma vale ancor di più in questi giorni di forzata permanenza a casa, in cui la rete è il cordone ombelicale che ci tiene attaccati al resto del mondo. E il tempo schermo aumenta, anche se ciò che conta è la qualità e non tanto la quantità. Disorientati per ciò che sta accadendo, i ragazzi rischiano di incollarsi ai dispositivi mobili come dimensione in cui esorcizzare la paura e la noia, mentre noi, smarriti quanto loro, oscilliamo tra la rigidità dei sani principi sul tempo schermo e l’urgenza di regole più lasche, capaci di adattarsi all’eccezionalità del momento.
Un percorso che si costruisce giorno per giorno
Proviamo l’angoscia di dover affrontare problemi apparentemente insormontabili in una situazione drammatica e inedita. Così oscilliamo tra i sensi di colpa e l’inadeguatezza rispetto al modello inaccessibile dei genitori perfetti. Quelli che hanno capito tutto, quelli che hanno le idee chiare, quelli che sono sicuri di come ci si deve comportare.
Un po’ come le ‘stramaledette mamme perfette’ della web series “Una mamma imperfetta”, con una strepitosa Lucia Mascino. Chiara, la protagonista, si sente come una nazione in crisi, ha un sacco di dubbi e nessuna risposta: devo essere più tollerante? Meno tollerante? Più autoritaria? Meno autoritaria? Più impositiva? Quanto? Ma chi me lo dice se sto facendo bene?
Non preoccupatevi: a tutti è capitato di avere impulsi scomposti e poco edificanti e di contravvenire a tutte le regole apprese dai manuali di pedagogia studiati diligentemente durante la gravidanza, per non parlare dei libri del Dalai Lama sulle emozioni distruttive.
Col tempo ho compreso che non esistono guide o bacchette magiche, che il percorso è incerto e pieno di buche. E che, poiché nessuno si salva da solo, solo confrontandoci con altri genitori – per Chiara è il ristretto gruppo di amiche, come lei mamme non proprio perfette – possiamo costruire nel tempo il modello di vita digitale della nostra famiglia.
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