a cura della Redazione

Abbiamo letto il libro “I superconnessi” di Domenico Barrilà, psicoterapeuta e analista, interessato in particolare alla responsabilità sociale della psicologia e all’influenza dei fenomeni sociali sulla psiche. Al centro della sua indagine si trovano quelli che definisce “figli digitali”, ragazze e ragazzi spesso persi davanti allo schermo, a cui si “superconnettono”.

L’esigenza dei nativi digitali di essere sempre connessi è spiegata dallo psicoterapeuta come una manifestazione di fragilità e di bisogno di legami, ed è proprio alla creazione di relazioni e di legami che i genitori sono chiamati a gran voce a dare il loro contributo, per crescere figli in grado di confrontarsi in maniera positiva con se stessi e con gli altri, in una dimensione sociale e collaborativa.

Lontano dal demonizzare i dispositivi quindi, l’autore sostiene che nel mondo di oggi siano gli adulti a doversi ricordare del loro ruolo educativo e riscoprirlo.

Questa conclusione è allo stesso tempo una responsabilità e una speranza: non è vero che la tecnologia ci allontana dai nostri figli.

In particolare, viene trattato un argomento molto interessante e spinoso: “osservare un figlio e spiare un figlio”, in cosa si distinguono queste due pratiche?

Lo abbiamo usato come punto di partenza per capire meglio l’atteggiamento suggerito da Barrilà a tutti i genitori.

Ad alcuni potrà sembrare ovvio sostenere che i figli vadano osservati e non spiati, ma spesso le nostre azioni sono più contradditorie di quello che pensiamo, soprattutto quando sopraggiunge l’ansia e il desiderio di protezione nei confronti dei figli.

Barrilà ci fa riflettere su una sottile ma fondamentale differenza; ci dice che quando si osserva, è il figlio a essere posto al centro dell’interesse, mentre quando si spia i protagonisti siamo noi educatori. Spesso guidati da paure, come quando poniamo domande in tono militaresco, mettiamo noi stessi al centro e perdiamo di vista l’obiettivo.

In pratica piuttosto che chiedere sempre “hai fatto i compiti?” o “da quanto tempo sei davanti al tablet?”, sarebbe utile preferire un semplice “come stai?”.

È questo quindi ciò che si chiede ai genitori: non farsi spaventare dal mondo digitale che appare lontano, ma piuttosto farlo proprio, conoscerlo e usarlo per avvicinarsi ai figli:

Osservare è un mezzo per conoscere e agire consapevolmente, spiare è solo un modo per controllare e mettersi in pace con se stessi. Nell’osservazione è coinvolta l’intelligenza, che fa crescere anche gli educatori e crea vicinanza, l’attività di spiare, invece, sembra una semplice variante del gioco a guardie e ladri, che incrementa la diffidenza, spegne la fiducia e crea distanza.