Nel libro Cittadini ai tempi di Internet. Per una cittadinanza consapevole nell’era digitale Alfonso Fuggetta dedica un capitolo a riflettere sulla condizione dei nativi digitali domandandosi quanto siano anche “maturi digitali”.
È facile pensare che i nostri figli, così bravi a digitare in maniera naturale su qualunque tipo di dispositivo, siano anche consapevoli e pronti a usare questi strumenti.
Se i bambini e i ragazzi sono “nativi digitali”, prosegue l’autore, noi adulti siamo “migranti digitali”. Ma questa definizione non deve far pensare di essere in una posizione svantaggiata:
Sono nativi perché vivono in un contesto nel quale questi strumenti e tecnologie esistono come dati di fatto. Ma, volendo fare un paragone, non è che in quanto nati in un mondo in cui ci si muove usando le auto sono automaticamente dei bravi guidatori.
Bisogna stare attenti a non sopravvalutare le capacità di bambine e bambini, sottovalutando le nostre capacità di apprendimento e adattamento.
Il lavoro degli educatori è ancora più complesso perché è necessario smontare certe semplificazioni e banalizzazioni, proprio come una scuola guida che deve anche correggere cattive pratiche indotte dall’aver provato in modo improvvisato la macchina di mamma e papà.
Fuggetta continua riflettendo su cosa si intenda per cultura e maturità ai tempi del digitale. Non bisogna confondere la manualità con la maestria: un bravo scrittore non è tale perché sa usare la penna o il computer, ma per ciò che ha da dire e per come lo scrive. Allo stesso modo noi genitori non dobbiamo diventare tutti programmatori, ma sviluppare conoscenze e competenze che ci rendano capaci di vivere e agire in un mondo digitalizzato. A sottolinearlo è l’autore stesso, particolarmente immerso nella digitalità anche per lavoro essendo professore ordinario di Informatica presso il Politecnico di Milano.
In breve quindi, possiamo smontare alcune assunzioni che troppo spesso vengono fatte con leggerezza, e dire che:
Manualità non è maestria
I più giovani sono abili sulla tastiera e veloci a scrivere sullo smartphone. Sono bravi dal punto di vista della manualità, ma non è da confondere con la conoscenza vera dei mezzi e della comunicazione.
Addestramento non è apprendimento
Superiamo il concetto che sapere sia equivalente a “saper fare”. È pericoloso pensare che imparare voglia dire semplicemente saper usare degli strumenti. Sono molte e varie le competenze necessarie per affacciarsi in futuro sul mondo del lavoro.
Velocità non è sinonimo di efficienza e qualità
Spesso presi dall’impulsività, soprattutto online, si tende a reagire in maniera troppo veloce, e generare incomprensioni e polemiche. Il distacco aiuta a separare ciò che ha valore dalle emozioni che si generano.
È utile mostrare ai più giovani il valore della lentezza.
Ricercare non vuol dire trovare
I motori di ricerca ci illudono che si possa trovare qualunque cosa, eppure questa apparente onnipotenza in realtà ha una serie di limiti, a partire dalla qualità delle fonti. È importante riconoscere che Google, come anche Wikipedia, sono strumenti e non soluzioni.
Gioventù non è sinonimo di innovazione
Può suonare strano ma l’età media degli imprenditori di successo è molto più vicina ai 40 anni che ai 20, e spesso quello dei giovani prodigio è un mito. È molto più probabile che le buone idee vengano dall’esperienza.
Oggi più che mai i nostri figli hanno bisogno della nostra esperienza per valutare la complessità data dal digitale e usare tutte le risorse e gli strumenti culturali a disposizione per affrontarla nella maniera più saggia.
Gli strumenti digitali rendono più delicata e critica la creazione di relazioni di qualità. L’essere nativi digitali in un mondo digitale richiede maggiore educazione e maturità di quanto fosse necessario nel mondo “analogico”, non meno.
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