di Rosy Nardone

Lo spazio del gioco e del giocare è fondamentale, nello sviluppo umano (e anche animale), in quanto è, innanzitutto, spazio di socializzazione: tra sé, il mondo e la società, tra sé e l’altro, l’alterità

È un modo di relazionarsi con modelli culturali, con le grandi tematiche della vita, con le emozioni, la fantasia, in una cornice di senso data dal contesto e dalle regole del gioco. Giocando, infatti, s’impara a rispettare codici comuni, a rispettarsi nei turni, nelle mosse, nella collaborazione o nella competizione, per obiettivi condivisi, che diventa un “patire, sentire, insieme”; s’impara a conoscere se stessi, sfidandosi in modalità individuale, oppure stando con gli altri, e questo vale ad ogni età.

Nel gioco ci si può annoiare così come divertire, si possono provare emozioni forti, contrastanti, anche in un breve spazio di tempo, passando dal riso al pianto, dall’empatia alla rabbia, dal piacere al turbamento. Giocare è come vivere: il valore simbolico sta proprio in quel come che costituisce il ponte tra il giocare e il vivere, tra la simulazione e la realtà. Come afferma McLuhan “i giochi devono trasmettere un eco della vita di ogni giorno.” Ecco, dunque, che i videogiochi rappresentano in pieno uno spazio relazionale e comunicativo del contemporaneo, attorno ai quali costruire relazioni tra i più giovani e gli adulti della famiglia, sviluppare socializzazioni, il piacere di stare insieme, di condividere emozioni e interazioni educative attraverso le quali negoziare e ratificare regole, norme, ruoli, identità appartenenze e valori. Come veri e propri cortili digitali rappresentano, per le famiglie di oggi, occasioni in cui fare esperienze di socialità, in cui sperimentarsi in forme di relazione diverse, a volte nuove, con i figli, per imparare, giocare, comunicare ed esplorare. Sì, perché innanzitutto, videogiocare, dal punto di vista dell’adulto (genitori o parenti), richiede conoscenze e abilità “nuove”: interagire in uno spazio digitale, utilizzando un joystick o un visore, significa compiere azioni che prevedono l’uso dissociato delle mani, con movimenti di punta-e-clicca, insieme a spostamenti di orientamento spaziale e a decisioni di problem solving, il tutto in tempi abbastanza rapidi, fa sentire spesso incapaci e inadeguati. 

Quanto siamo disposti, come genitori, a invertire il ruolo di mentorship, di guida? Chiedere “Mi insegni?”, “Mi aiuti?” non vuol dire perdere autorevolezza – come adulti – ma dare riconoscimento di capacità e competenza al figlio, alla figlia, alle sue esperienze, che considera importanti e significative, socializzando, così, in maniera diversa, nuova, il concetto di ruolo, di regola, e di chi ascolta e chi impara. Sono sempre di più i prodotti videoludici che hanno la modalità “multigiocatore” in Co-op, ovvero la possibilità di collaborare nelle avventure e nelle storie da esplorare: questi rappresentano anche un’occasione per decostruire il diffuso approccio che spesso i genitori assumono di un’educazione iperprotettiva rispetto ai videogiochi, considerati, genericamente e in maniera stereotipata, rischiosi, pericolosi e in grado di influenzare negativamente il comportamento dei figli. 

Le ricerche, nazionali e anche internazionali, presentano ancora genitori che oscillano tra l’essere spaventati, impreparati o eccessivamente permissivi: il noto pedagogista e matematico-informatico Papert ha coniato due espressioni molto rappresentative di questi atteggiamenti, ovvero i cybercritici, che avvertono delle disastrose conseguenze nell’uso del computer e videogiochi, e i cyberutopisti, che invece ne decantano le meraviglie. Indubbiamente si cominciano a configurare nuove tendenze, per il cambio generazionale, di genitori gamer, ma, da un punto di vista pedagogico, costruire esperienze positive, significative ed educative rispetto all’uso dei videogiochi non significa, per forza o solo, videogiocare insieme: come genitore è importante rispettare e sostenere ambiti di autonomia esperienziale. Significa, piuttosto, recuperare il valore sociale e socializzante intrinseco al (video) giocare, ponendolo al centro dei dialoghi familiari: “Com’è andata oggi la sessione di gioco?”, “Quali difficoltà hai incontrato?”, “Cosa hai scoperto? Con quali dilemmi ti sei confrontato?” “Raccontami cosa hai esplorato…”. 

Sono domande che possono aprire spazi inaspettati di confronto nella relazione tra genitori e figli, rimettendoci in gioco come adulti, lasciandoci stupire dall’ascolto autentico delle passioni e delle capacità dei nostri bambini e ragazzi, e, allo stesso tempo, sostenendoli nella costruzione di una capacità di riflessione sulle pratiche quotidiane, per avere sempre più consapevolezza dei significati e delle complessità che ne derivano, per coglierne collegamenti con altre esperienze, per decidere, insieme, le regole d’uso.

È un po’ come guardare il cielo di notte: si può stare immersi nel solo piacere di ammirare tanta bellezza, ma diventa ancora più stupefacente e indimenticabile se qualcuno ci guida nel disegnare i fili tra le stelle, scoprendone il disegno, i significati e la mappa delle costellazioni.